Tra gioco, distopia e rinascita

Tuttavia, l’opera in quella sala che riesce davvero a catapultarmi nel “qui e ora” (così come veniva percepito allora) è Frau am Tisch mit Früchten – Matisse (2024), acrilico su tela di André Butzer. Giocosa e irriverente, accende qualcosa dentro di me, una sensazione che non provavo da tempo, considerato l’attuale clima socio-politico. Pur senza ignorare i problemi molto reali che la nostra società deve affrontare, forse un po’ di azione creativa – l’arte per l’arte – può offrire prospettive alternative e ispirare nuovi percorsi.

Attraversando una sala dal paesaggio lirico, entriamo poi nel futuro distopico di Deemona (2025) di Chino Moya e Aftermaths (2025) di Mat Collishaw, opere che insieme si interrogano su «come gli esseri umani possano conservare riflessione ed emozione in un mondo mediato dalla tecnologia». La risposta sembra arrivare alla fine del percorso con l’opera immersiva e meditativa LOVE / NOW di Chris Levine, come un balsamo per un’anima profondamente turbata.

Prima di giungervi, però, è necessario attraversare il cuore concettuale della mostra: BARDO (2025). Oggi un labirinto decadente di specchi parziali, quest’opera di Gavin Turk era originariamente intitolata The Golden Thread (2004) e trasformava uno spazio strutturato in percorsi frammentati di vetro. In seguito l’opera fu immagazzinata e dimenticata, lasciata a deteriorarsi ai margini della nostra coscienza collettiva, non più parte del nostro “lungo presente”. Riportata in vita attraverso il concetto tibetano di Bardo – uno stato di transizione tra morte e rinascita – l’installazione incorpora un paesaggio sonoro mutevole che guida e disorienta i visitatori. Come osserva Adams: «È allo stesso tempo una celebrazione e una provocazione, un promemoria del fatto che l’arte è sempre stata uno specchio del suo tempo, ma anche un’anticipazione e un’interpretazione del futuro».

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