Un presente fragile e riflettente
Uscendo da questo percorso, veniamo accolti da opere di light art di Olafur Eliasson, Frankie Boyle e dalla stanza immersiva di Chris Levine, concepita come una vera e propria via di fuga. Nella sala successiva, enormi formiche si arrampicano sulla parete di fondo, evocando immediatamente l’universo di Louise Bourgeois. Lo spazio appare profondamente contemporaneo, con echi dell’ultima Biennale di Venezia: ricco di fibre art, ma attraversato anche da una malinconia delicata legata all’attuale clima politico.
In tutti gli anni delle mie visite alla Saatchi Gallery, non avevo mai immaginato un presente così fragile, in bilico, prossimo al collasso. Al centro della sala si muove lentamente un’onda di amuleti in vetro dell’artista palestinese, residente a Londra, Dima Srouji.
Il percorso conduce infine all’ultima sala, oltre due preziose miniature di Soheila Sokhanvari, realizzate con petrolio grezzo su carta Canford appositamente per questa mostra, che introducono l’installazione seminale 20:50 di Richard Wilson. Originariamente collocata nel seminterrato nel 1987 e considerata un’opera fondamentale dell’arte contemporanea britannica, oggi la ritroviamo all’ultimo piano, in una nuova ambientazione drammatica e destabilizzante. Con l’olio nero lucido che riempie lo spazio fino all’orlo, chiunque entri in quella stanza finirà inevitabilmente per sporcarsi le dita – e infatti accade.